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Convinzioni o chiacchiere?

A parole, o forse è meglio dire a chiacchiere, sembriamo essere interessati tutti alle stesse cose. Tutti vorremmo che nel nostro Paese si vivesse meglio, e che ciascuno nei propri luoghi di residenza vivesse meglio e non avesse bisogno di fuggire, e che nessuno fosse sottoposto a violenze o morisse affogato in mare, e che nessuno soffrisse per essere vittima di un palleggiamento su dove debba essere accolto. Eccetera.

In pratica, in mezzo a tante parole, dobbiamo chiederci se queste siano animate da coscienza o da convenienza, da umanità o da opportunità, da altruismo o da opportunismo.

Ci sono una cinquantina di persone in mare da un po' di giorni, e non si capisce bene che fine debbano fare. Una cinquantina, pochissime in confronto a quante ne sono fuggite, quante ne sono morte nel tragitto e quante ne sono state accolte nel nostro Paese. Secondo determinate voci, l'unica cosa che si deve fare è che l'Italia apra ancora le porte per ospitare persone che obiettivamente non è più in grado di ospitare dignitosamente, perché sono troppe. E si accusa l'Italia di essere senza cuore e addirittura di volere la morte di queste persone. Naturalmente è molto difficile giudicare per chi non ha in mano le leve del potere e gli elementi teorici e pratici per poter giudicare con cognizione di causa: noi cittadini vediamo ciò che vediamo, sappiamo ciò che sappiamo e non sappiamo cosa sarebbe bello sapere ma non ci viene detto, che forse ci consentirebbe di giudicare meglio.

Sta di fatto che l'etichetta di Paese inospitale non ci compete, sono i numeri a dirlo, i fatti: la quantità di persone che ogni giorno tutti noi incontriamo e che hanno un viso evidentemente diverso dal "nostro" dimostrano che siamo un luogo aperto. Sta anche di fatto che una bellissima commedia si intitolava "Aggiungi un posto a tavola", e non "aggiungi dieci posti, cento, mille". Quando una tavola è piena bisogna trovarne un'altra, altrimenti "sparti palazzo diventa cantone", recita un detto popolare.

La domanda più triste che, in questo periodo, viene da farsi è se realmente la sorte di queste poche persone stia così a cuore a chi se ne fa paladino, o se non sia un modo roboante e scenografico, ma strumentale, per opporsi comunque a quanto viene fatto dai propri avversari politici.

Può essere interessante leggere cosa pensa una persona che di queste cose ha una certa competenza, un ammiraglio decorato per salvataggi in mare. Ecco quanto scrive nella sua pagina su Facebook.

Vittorio N Guillot

Ripeto cose già scritte in altre occasioni ma, dato il continuo verificarsi di queste vicende, probabilmente 'repetita juvant' . Il fatto è che ogni nave in alto mare (cioè fuori dalle acque territoriali di altri stati ) è soggetta alla esclusiva giurisdizione dello Stato del quale batte la bandiera. In pratica ogni nave mercantile in alto mare è una ‘proiezione’ dello stato di cui batte bandiera. Inoltre,se la Seawatch è in regola con la norme concernenti la sicurezza della navigazione, anche i naufraghi sono al sicuro, ossia non corrono il pericolo di finire in un altro naufragio e di morire. Se non lo è, può essere fermata anche dalle autorità italiane, visto che, entrando nelle nostre acque territoriali, ha perso la sua ‘extraterritorialità’ ed è soggetta alle nostre leggi. Se la nave è ‘in sicurezza’ può navigare tranquillamente fino all’ Olanda, dove sarebbe già potuta arrivare da un pezzo se non fosse rimasta volutamente a pendolare tra Italia e Libia, senza alcuna ragione marinarescamente valida. Continuo a non capire per quali ragioni il comando della nave, oltre a non aver condotto immediatamente i naufraghi in un vicino e sicuro porto tunisino, abbia continuato a sottoporli a disagi,anche se , come detto più sopra, non a pericoli, non avendo voluto far rotta tempestivamente verso l’Olanda. Infatti, poiché i naufraghi sono stati presi a bordo della Seawatch quando questa era in ’acque internazionali’, fin da allora erano praticamente in territorio olandese..Dato che l’articolo 13 del trattato di Dublino del 2013 prevede che lo Stato membro dell’UE dove è avvenuto il passaggio illegale è competente per l’esame della domanda di protezione internazionale, lo Stato della bandiera della nave responsabile dell’asilo, nel nostro caso è l’Olanda, non l'Italia. Di conseguenza non esiste una valida e logica ragione, né tecnica né giuridica né umanitaria, per la quale una nave battente bandiera non italiana debba scaricarli in Italia. Infatti il primo approdo dei naufraghi deve essere inteso la stessa nave che ha recuperato gli emigranti irregolari. Se l’Olanda ritiene di non poter accogliere i naufraghi raccolti di fronte alla Libia, da un punto di vista giuridico, anche se cinico e non umanitario, può vietare alle navi battenti la sua bandiera di navigare in quelle acque. Comunque il problema per l’Italia non credo che siano questi 47 migranti. Il fatto è che cedendo alla prepotenza ingiustificata della Seawatch , si espone il nostro Paese alla immigrazione incontrollata, carica di guai per gli italiani e per gli immigrati.

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