top of page

Votare è un obbligo, oltre che un atto logico e utile


L’Italia è una Repubblica Democratica: “la sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”. Non è un detto qualsiasi, un proverbio, una battuta: è il primo articolo della Costituzione Italiana e significa che sono i suoi abitanti che decidono come deve essere governata. Lo strumento con il quale questo avviene sono le elezioni, attraverso le quali i cittadini eleggono, cioè scelgono, le persone alle quali attribuiscono la responsabilità di prendere decisioni per il miglior funzionamento del Paese. Alle elezioni si viene scelti, non si vince: non è una gara.

Votare è un diritto per ogni cittadino, ma prima di essere un diritto è un dovere, perché se nessuno andasse a votare il Paese sarebbe alla deriva, allo sbando.

Al di là di essere un dovere, votare è una cosa logica, anche se può essere istintivo ritenere ininfluente il proprio, singolo voto rispetto alla moltitudine di voti che sono necessari affinché un candidato venga eletto. Quando si compie un’azione, o quando non la si compie, un buon modo per valutarne l’opportunità e chiedersi cosa succederebbe se tutti agissero nel medesimo modo: se nessuno vota, lo stato non funziona, quindi bisogna votare. E’ semplice.

A tutti sarà capitato di dove sollevare qualcosa di troppo pesante per farlo da soli: allora ci si mette in due, in tre, in quattro, e ci si riesce. Non a caso si dice che l’unione fa la forza. Ai tempi delle piramidi non esistevano le gru, e i massi venivano quindi trasportati da molte persone. Se uno si fosse sottratto al suo compito il masso si sarebbe probabilmente portato ugualmente, se mancano due, tre, quattro, cinque eccetera persone il risultato è sempre più difficile da raggiungere.

Votare per un Parlamento, nella fattispecie il Parlamento Europeo, non è un’operazione fisica ma un’azione politica di importanza fondamentale e rilevanza ben maggiore di quella dello spostamento di un masso. Perché il nostro ordinamento ci chiede di esprimere il nostro pensiero e, se non andiamo alle urne, rispondiamo “fate come vi pare, non me ne importa nulla”: la prima logica conseguenza è che, qualsiasi cosa accada, non abbiamo alcun diritto di lamentarci. La giustificazione “non so per chi votare perché nessuno mi piace” non è logica, perché non è un negozio in cui si entra e se non si trova nulla di interessante non si acquista nulla. Qualcuno deve governare, qualcuno bisogna nominare: se nulla ti entusiasma devi indicare quale ritieni che possa essere “il male minore”.

E’ impressionante notare che, in un Paese in cui le istituzioni democratiche sono solide e non manca chi invece ritiene addirittura che la democrazia sia a rischio, quasi la metà della popolazione decida di non usare lo strumento più potente che ha in mano: il voto. Ed è preoccupante vedere che questa percentuale di incoscienti e irresponsabili anziché diminuire, come dopo la guerra diminuì l’analfabetismo, aumenti. Perché nel 1979 si recò alle urne per adempiere al proprio dovere ed esercitare il proprio diritto l’86,12% degli elettori: da quell’anno, il numero diminuisce con regressione pressoché costante: 83% nell’84, 75 nel 1994, 66 nel 2009, 59,69% nel 2014 per trionfare nel patetico 56,09% di affluenza di queste elezioni del 2019. Come può, un popolo che si lamenta delle condizioni del proprio Paese, e che vede il proprio Paese in condizioni indubbiamente non di massima floridità, disinteressarsene in questo modo?

L’astensionismo inquina i dati: perché le persone molto motivate vanno a votare in massa, quelle meno emotivamente coinvolte no. E’ bene fare due conti: il partito che ha ottenuto più voti, a queste elezioni europee, ne ha avuti meno di dieci milioni; ma non si sa quanti, degli oltre venti milioni di astenuti, avrebbero votato nello stesso modo. In teoria quasi altrettanti, visto che solo metà – per semplicità – ha votato. Ora supponiamo che un partito sia creato da un leader così carismatico che tutti i suoi sostenitori vadano a votare, e che questi sostenitori siano solo dieci milioni. Questo partito “vince”, pur avendo la metà dei sostenitori. Tanto è dannoso questo fenomeno che è divenuto addirittura strumento di manipolazione dell’interpretazione dei risultati da parte dei politici stessi. Perché siccome si parla di ben un 45% che non si è espresso, c’è chi ha l’ardire di affermare che molte di quelle persone, se avessero votato, avrebbero votato per il proprio partito, che quindi avrebbe “vinto” (i politici amano utilizzare impropriamente questa espressione, non riescono a capire che “sarebbe stato scelto” perché vivono la politica come una competizione e non come un’attività di altissima rilevanza sociale). Una logica risposta potrebbe essere che questo partito ha nelle sue file le persone più superficiali e svogliate del Paese, una persona equilibrata non lo riterrebbe un ottimo biglietto da visita. Ma ai fini della rappresentatività dell’organo di governo del Paese sarebbe, effettivamente, interessante conoscere il pensiero di queste persone, nel momento in cui il voto è consentito e richiesto a tutti e non solo a una determinata classe di persone.

E’ tuttavia opportuna una riflessione. Scomodando di nuovo la Costituzione, nell’articolo 48, a proposito del voto, si legge che “il suo esercizio è dovere civico”; si rischiò, in realtà, che venisse definito “dovere civico e morale”. Ma c’è di più: l’articolo 115 del DPR 361 del 1957 diceva che chi non andava a votare doveva giustificarsi con il Sindaco, che valutava se inserirlo in un elenco di non votanti senza giustificato motivo e per cinque anni la menzione “non ha votato” veniva inserita nei certificati di buona condotta. A dire il vero, l’articolo successivo prevedeva il 70% di sconto sulle tariffe ferroviarie per chi doveva andare a votare; trasporto ferroviario gratuito per gli emigrati che rientrano per il voto. Ma pensa un po’. Questa legge, comunque, è stata abrogata nel 1993, se uno non vota pazienza, non fa niente.

Singolare invece è che quando un’azienda riceve un questionario statistico da parte dell’Istat, questionario abbastanza articolato e che richiede un certo tempo per la compilazione, il tutto è accompagnato dalla “minaccia” di una considerevole multa in caso di mancata compilazione. Andreottianamente viene da chiedersi se i politici non lo facciano apposta, di non combattere l’astensione, perché a parte più o meno veritiere prediche in televisione non si vedono atti concreti per contrastare il poco civico fenomeno. Se tutti coloro che non vanno a votare ricevessero semplicemente e automaticamente venti euro di multa, senza le solite pene draconiane poi non applicate, l’affluenza alle urne crescerebbe di certo in maniera notevolissima.

Who's Behind The Blog
Recommanded Reading
Search By Tags
Non ci sono ancora tag.
Follow "THIS JUST IN"
  • Facebook Basic Black
  • Twitter Basic Black
  • Black Google+ Icon
bottom of page