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Cosa e perché: davvero o per finta?

Esistono i fatti e le motivazioni dei fatti. Cosa e Perché sono due delle cosiddette cinque domande del giornalismo, le domande alle quali ogni articolo dovrebbe poter rispondere: Cosa, Quando, Dove, Chi, Perché. Quando, Dove e Chi sono le più facili, almeno quando il soggetto è identificato. Cosa e Perché sono più difficili.

Sui fatti c'è poco da discutere, sono quelli. Ed è un fatto che dei bambini siano stati sottratti a genitori degni a Bibbiano, che un carabiniere sia morto accoltellato a Roma, che molte persone siano annegate davanti a Tripoli. Una mente normale si rifiuta di pensare che possa esistere qualcuno capace di rallegrarsi che siano accaduti questi fatti, indipendentemente dalla fede religiosa o politica. Però i fatti devono essere accertati, bisogna essere sicuri che si parli dei fatti che sono successi, non di ciò che ci si immagina sia successo o si ipotizza o inventa che sia successo.

Poi ci sono le motivazioni dei fatti: è su quelle che si può, e si deve, discutere. Bisognerebbe però che si riuscisse a discutere sulle reali motivazioni, non sulle ipotesi o sulle illazioni, specie se le congetture trasformate in convinzioni servono a sostenere tesi strumentali finalizzate al sostegno del proprio credo o del proprio tornaconto. Perché questo non vuol dire discutere, non vuol dire cercare la verità, ma vuol dire cercare di convincere, di condizionare, di imporre, o di mistificare.

Informare, e dare elementi sui quali discutere, è un processo molto delicato.

L'informazione serve a informare e a formare: assumendo dati ci si costruisce le proprie idee; la disinformazione serve a formare deformando, producendo idee distorte perché fondate su errati punti di partenza.

Questo male è gravissimo, nel nostro tempo, ed è rinforzato dalla velocità che, grazie al progresso, ha ora la propagazione delle notizie. Tanti anni fa, un giornalista che avesse assistito ad un delitto avrebbe dovuto raggiungere una cabina telefonica, munirsi di gettoni e dettare il pezzo, improvvisato o appuntato su un taccuino, che sarebbe potuto uscire sul quotidiano del giorno successivo. Se avesse voluto aggiungere una foto avrebbe dovuto scattarla e sviluppare o far sviluppare il rullino. Oggi, se mentre succede qualcosa prende il telefonino in mano e comincia filmare può mandare direttamente in onda un video che può essere visto, se pubblicato nel posto giusto, da milioni di persone. E anche i commenti "a pelle", o "di pancia" possono seguire questa strada. E' un bene o un male? E' un bene, certo, perché il progresso è un bene per definizione: ma come tutti gli oggetti potenti, armi in prima lista, può essere usato male e trasformarsi, nomen omen, in un male.

I processi sommari basati sull'emozione che vengono fatti a gruppi e persone, e che li disegnano colpevoli di fatti atroci nei quali possono non essere neppure coinvolti, sono altrettanto gravi come la negazione dell'evidenza, il tentativo di nascondere, il mancato impegno a indagare che sono invece volti a tenere indenni da qualsiasi fastidio gruppi e persone alle quali si è, per motivi più o meno ideali o strumentali, legati.

E la conclusione forse peggiore che si rischia di dover trarre è che, in questi casi, non si sia poi così coinvolti e colpiti dalla tragedia e dalle vittime e dal dolore dei familiari delle vittime, ma si sia molto più orientati a una cinica caccia alla notizia in modo che possa nuocere a chi si ritiene proprio avversario.

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